La scomparsa di Sergio Toppi priva il fumetto di un autore che, se pubblicava poco, ha però lasciato il segno nei lettori italiani, e in quelli di tutto il mondo, e d è stato maestro non solo in patria ma ammirato anche al di là delle Alpi e dell'Oceano.
Andrea Leggeri è in vacanza e non può postare nulla, dunque inserisco io qualche riga e qualche immagine di ricordo, commosso non solo per la perdita dell'artista, ma anche per il suo lato umano che discreto, gentile ma attento e acuto, non si può non dire. (Laura scarpa)
Nel n.31 (ma lo avevamo intervistato precedentemente) dedicammo lo sketch-book a Sergio Toppi, che ci accolse nella sua casa con grande gentilezza.
ne uscirono queste poche righe:
«Abbiamo già intervistato Sergio Toppi, ma finalmente siamo riusciti a scoprire anche i suoi disegni al telefono.
Così li definisce questo grande autore e disegnatore personale e instancabile: sono le matite fatte per il piacere di farlo, chiacchierando al telefono, ripensando a un’immagine, davanti a un paesaggio o esercitandosi con la mano sinistra perché la destra è ingessata. “butto sempre via gli schizzi, i disegnini, e non ne faccio molti”, Toppi disegna in funzione del racconto, affronta di petto ogni singola tavola di fumetto, ogni illustrazione.
Non dipinge, il disegno non è fine a se stesso, ma al raccontare, ed è lui stesso racconto. Le tavole di Toppi si sa, sono composte per lo più fuori dagli schemi delle strisce, anche se spesso l’abbiamo letto anche nel formato tradizionale. Prima che gli americani e i giapponesi spaccassero la gabbia, Sergio Toppi ha cambiato le regole, ha sovrapposto immagini, ha composto il raccontare secondo una logica onirica, di accostamenti e contrapposizioni di elementi. Questo forse comunque l’ha imparato davvero dal Giappone, cultura che lo ha sempre affascinato e attratto. Si sente Kurosawa nei suoi racconti, e l’amore per il segno di china che esprime come un ideogramma nel singolo tratto. Oltre ad aver disegnato ambientazioni orientali (ma non solo quelle, si va anche dai Maya al medioriente, dai lanzichenecchi ai vichinghi), la sua passione si è concentrata su guerrieri e samurai, non solo su carta, ma in deliziose figure in 3D, fatte col Das e finemente decorate e dipinte.
Come altri grandi della sua generazione (nasce a Milano nel ‘32)), la sua prima esperienza fumettistica è sulle pagine del Corriere dei Piccoli, nel ‘60, dopo un’esperienza decennale nell’illustrazione (principalmente con la UTET). Nel fumetto, dopo un’inusuale storia del Mago Zurlì, disegna principalmente fumetti di guerra e di cronaca, successivamente proseguendo anche sul Corriere dei Ragazzi. Lavorerà anche per il Messaggero dei Ragazzi, dove inizierà a personalizzare, non il suo tratto, già originalissimo e consolidato, ma lo stile narrativo e la composizione della pagina. Maggior libertà avrà pubblicando per le cosiddette ‘riviste d’autore’: Sgt Kirk, Linus, Alter, Il Mago e Corto Maltese, L’Eternauta e Comic Art. Ma anche Il Giornalino, Ken Parker e Nick Raider o Julia, ospiteranno il suo tratto graffiato e la solidità delle sue immagini. Anche il fumetto storico è stato a lungo visitato da questo esploratore col pennino: dalla collana della Storia dei popoli a fumetti, curata da Biagi a varie serie per la Larousse (Francia) e per Planeta De Agostini (Spagna) e I protagonisti del West, o titoli della collana Un uomo un’avventura (Cepim). Molteplici i lavori di illustrazione, copertine e libri per ragazzi e adulti, manifesti, i tarocchi per lo Scarabeo, omaggi, ha collaborato anche a studi di animazione. Vari i portfolio, molte le mostre personali e i premi, e fama internazionale. Una lunga carriera in cui la ricerca continua in Italia e ora anche in Francia per le edizioni Mosquito, che hanno dato spazio alla continuazione di Sheraz-De, la sua versione delle Mille e una notte.
Se il disegnatore ci racconta in queste pagine l’assenza di story-board e della classica matita molto definita, che bloccherebbe la spontaneità e l’energia del suo segno, ci svela invece l’energia, appunto, del disegno di getto, fatto senza obblighi e per gusto anche fisico del tracciare con la matita sul foglio figure che esprimono altro che se stesse, ma non è poco. Attraverso il piacere di una matita violacea, o il gusto che porta in biro e tratteggi un paesaggio montano, o in una figurina che si allunga dall’angolo di un foglietto, ritroviamo i paesaggi de Il Collezionista, i personaggi di Sheraz-de, i gesti dei suoi protagonisti e tutta la sua poetica, in brandelli apparentemente casuali, certamente intimi e spontanei, perfettamenti coerenti con l’opera compiuta, quasi da coinciderci e da continuarla, dove la matita si sostituisce all’affondare del pennino sul foglio, con la stessa pesantezza che impone il proprio modo di raccontare».
visioni delle Dolomiti, disegni in vacanza....
oltre ai disegni, seguiva l'annotazione dei suoi mezzi tecnici... e ancora una volta i mezzi sono il prolungamento della mano e niente di più, e la mano lo è di cuore e cervello.
Ecco quello che ci disse:
COLORI: Inchiostri colorati Luma Color Pébeoche sono waterproof (resistono all’acqua), qualche Ecoline e le chine Reevis.
MATITA: Micromina 0,5 dura e per gli schizzi matita di legno 2B.
PENNINI: Blanzy sottili e i Contè, si distruggono presto per la mia pressione e anche per la china stessa.
PENNELLI: vari, solo per i colori e le campiture.
PENNARELLI: solo qualche volta Uni-Ball Eye Micro Mitsubishi.
CARTA: Per il bianco e nero la Schoeller 4G semiruvida, per i colori ad acqua gli album Schoeller da Acquerello ruvidi non Torchon.
La montagna e il Giappone, due grandi amori:
ma mai quanto il disegno, e sua moglie.